Lenin è innocente. La sentenza è arrivata alle 18. La giuria popolare ha assolto (con una votazione di misura) il dittatore comunista durante il processo celebrato al Pisa Book Festival. A cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre in cui ebbe un ruolo da protagonista, per Vladimir Il’ič Ul’janov si sono aperte le porte di uno speciale tribunale.
All’appello lanciato a fine ottobre dal Pisa Book Festival per comporre la giuria popolare hanno risposto centinaia di persone. In trenta sono stati selezionati e oggi pomeriggio sedevano sulla gradinata del tribunale della sala Pacinotti, affollata per l’occasione.
L’udienza è iniziata come da programma alle 17. Il “giudice” Franco Andreucci, che ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Pisa ed è fra i massimi esperti italiani di storia del socialismo e del Partito comunista italiano (fra i suoi ultimi lavori: Da Gramsci a Occhetto. Nobiltà e miseria del Partito comunista italiano 1921-1991), ha subito dettato le regole: “Questa non è una commedia – ha detto marziale e imperturbabile – Stiamo parlando di un passato fatto di tragedie. Il popolo russo non ha nulla di divertente da raccontare degli ultimi suoi tre secoli fatti di dittature e atroci tragedie”. E ha invitato i due “avvocati” a “mettere al bando le ideologie e a portare prove documentali”.
Prende per primo la parola Ettore Cinnella, già professore di Storia contemporanea e di Storia dell’Europa orientale all’Università di Pisa (fra i più illustri sovietologi italiani, Cinnella ha raccontato la rivoluzione russa in molti scritti, fra i quali 1905. La vera rivoluzione Russa e 1917. La Russia verso l’abisso): “L’opera politica di Lenin fu una catastrofe, un fallimento colossale. Questo giudizio si acquisisce dalla storia della Russia dal 1918 fino al crollo dell’URSS. Lenin – è questa l’accusa mossa al dittatore – ha calpestato e tradito gli ideali socialisti e si è macchiato di crimini contro quegli stessi contadini che diceva di difendere. Usò massicciamente gas tossici per stanare i contadini ribelli e fece rastrellare i villaggi. La sua ossessione erano proprio loro, i kulaki, cioè i contadini. Ne ha fatti ammazzare a milioni. Voglio demolire la teoria secondo la quale Lenin diede riscatto alla classe operaia”.
Cinnella legge i documenti che accusano Lenin e il suo regime comunista, contenuti nel suo libro 1917, la Russia verso l’abisso: “Nei diari della polizia comunista vengono descritti i metodi repressivi che, si può dire, furono peggio di quelli usati dai nazisti. Nel 1920 Lenin ordinò di fucilare molti operai solo perché sospettati di sabotaggio e di non lavorare per il regime. Nella primavera-estate del 1918 un verbale della polizia spiega le regole per “educare” i contadini: “impiccare – legge Cinnella – i kulaki all’aperto, in modo che la gente veda; prendergli il grano, fucilare gli ostaggi come indicato nel telegramma di ieri”. E ancora, un altro documento ufficiale: “Per ogni nostro compagno ucciso, uccideremo centinaia di insorti”. Il tempo stringe e Cinnella non riesce a terminare la parte più dolorosa del suo discorso accusatorio, quello che inchioda il dittatore attraverso i documenti che raccontano l’uso di gas tossici contro milioni di persone.
L’arringa difensiva tocca a Guido Carpi, professore di letteratura russa all’Orientale di Napoli, autore di una monumentale storia della letteratura e del saggio storico Russia 1917. Un anno rivoluzionario: “Bisogna conoscere il contesto in cui matura la Rivoluzione. Quella avvenuta in Russia è frutto di profonde contraddizioni di lungo periodo. Negli anni degli zar c’era stato un ipersfruttamento del ceto contadino annientato da una cronica fame di terra. Dopo la Prima guerra mondiale, le élite europee avevano creato un apparato di coercizione e violenza di massa. Per un autentico giudizio su Lenin – incalza Carpi – ci si deve chiedere se ci fossero altre strade da percorrere. E la risposta è no”. E ancora, sulle requisizioni forzate di alimenti e grano: “Erano già iniziate nel 1916 dagli zar perché i rapporti città-campagna si erano spezzati. I contadini, afflitti da cronica fame di terre, volevano rinchiudersi nel loro ristretto autoconsumo. I fatti descritti da Cinnella sono tremende, è vero, ma i problemi andavano risolti in qualche modo, e il comitato riunito dopo la Rivoluzione servì a poco. Lenin ebbe nove dita di pelo sullo stomaco a fare la Rivoluzione ed ebbe una visione lunga e universale della storia del suo popolo”. Carpi conclude la sua orazione citando le parole con cui Indira Gandhi esalta la figura di Lenin. Andreucci interroga la giuria per alzata di mano. Con una maggioranza risicata (di soli 3 voti), il compagno Lenin viene assolto. Carpi festeggia levando il pugno chiuso.