Sono figlia di emigrati. Mio padre a sedici anni ha lasciato la Sardegna per andare all’Accademia Navale di Venezia. Ha fatto la guerra in Marina e nel dopoguerra ha vissuto tanti anni a Genova. La sua fidanzata, mia mamma, ha lasciato il paese, Sanluri, il giorno del matrimonio. Ma desiderava tornare in Sardegna e sin dal primo giorno soffriva di una struggente nostalgia. Mitico non era però il suo paese, nell’interno dell’isola, ma Cagliari, di cui mi parlava con entusiasmo. Mi diceva: “Vedi com’è bella Genova? È perché assomiglia a Cagliari!”. Cagliari era la terra promessa. Ci siamo finalmente arrivati che io ero in prima media e la considero la mia città. Ma che assomiglia a Genova è vero. Come Genova nella poesia Litania di Giorgio Caproni è verticale, ha la brezza della luce in salita, è di vertigine, aria e scale, è una città mercantile, di transatlantici, di petroliere, di banchine, di torri bianche, d’ascensore, portuale, balneare, umida, alzata. Davvero, come Genova, Cagliari è una città leggera. Ho trovato l’aggettivo adatto per lei leggendo un’intervista a Gabriele Romagnoli, l’autore del libro Solo bagaglio a mano, dove dice che non essere ingombranti è l’unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Il bagaglio a mano di cui parla diventa metafora di un modello di esistenza, che vede nel perdere una forma di ricchezza che non teme la privazione del “senza”. La leggerezza diventa un’ipotesi di salvezza. Essere leggeri. Vivere leggeri. Nell’intervista viene chiesto all’autore se tutto questo vale anche per le città. Certamente, è la risposta, città bellissime sono però pesantissime. Gli si chiede se conosce città leggere. Beirut, Rotterdam, Sarajevo. E in Italia? Cagliari. Ho comprato il libro sperando che l’autore mi spiegasse perché Cagliari è leggera, ma nel libro di Cagliari non c’è niente. Allora ho cercato di capire da sola. Perché sentivo che è vero. Secondo Romagnoli sono leggere le città in qualche modo rinate dopo essere state scottate dall’esperienza e portano di quella esperienza dolorosa i segni e le cicatrici. Stanno lì, nuovamente in piedi. Per insegnarci che è possibile perdere, anche tutto, e continuare. Cagliari è stata distrutta, dopo Dresda è stata la città più bombardata d’Europa durante la seconda guerra mondiale, ed è ancora lì, nuovamente in piedi. Come la Genova di Giorgio Caproni luminosa, verticale, di aria, di scale, di torri bianche, di transatlantici, portuale, balneare, umida e alzata.
E anche i cagliaritani sono leggeri. Hanno elaborato, dopo le distruzioni della guerra, un modo di vivere da spiritosi sopravvissuti. Non è da tutti farcela, ma chi ci riesce diventa una razza eletta che ha capito quanto sia possibile perdere tutto e continuare. Nel mio Mal di pietre la nonna prova questi sentimenti quando si trasferisce dal paese a Cagliari. Le piaceva come a Cagliari le vicine non erano così drammatiche come in paese e se qualcosa non andava dicevano: “Ma bbai!” e se per esempio cadeva un piatto per terra e si rompeva, nonostante fossero così povere, alzavano le spalle e raccoglievano i cocci… Nonna pensava che dipendesse dal mare e dal cielo blu, e dall’immensità che vedevi dai Bastioni, nel vento di maestrale, era tutto così infinito che non ci si poteva fermare alla propria piccola vita.
Cagliari permette anche ai suoi abitanti di essere leggeri, perché ci sono luoghi dove ci si può appartare, per esempio le panchine del porto, o le piazzette panoramiche e silenziose sospese per aria del quartiere di Castello, o il Poetto alle ultime fermate degli autobus.
Cagliari è leggera anche perché non è esibizionista. Non ci sono grandi cose fatte apposta per attirare l’attenzione, tipo palazzi altissimi, o interventi urbanistici massicci, o cose del genere, e quelli che ci sono non sembrano particolarmente amati dai cagliaritani. Anzi. Le stesse case dei ricconi non si notano troppo, insomma, si tratta di una ricchezza non esibita.
E poi c’è il mare, il mare dentro la città, perché il Poetto, una spiaggia di dodici chilometri, è a pochi minuti dal centro. E davvero la spiaggia del Poetto per Cagliari è una grande cosa. Davvero, così dentro la città, alleggerisce la fatica del lavoro, la pesantezza di una giornata.
Nel mio Sottosopra, la protagonista pensa: Al mare il tempo aveva un ritmo tutto suo, indipendente dalla vita quotidiana. I raggi del sole, nelle giornate di calma, davano all’acqua una trasparenza totale e un colore smeraldo. Piccole mormore ballavano attorno ai nostri piedi senza paura. Il promontorio della Sella del Diavolo, se arrivavamo presto, spuntava da una leggerissima nebbia mattutina…Davvero, a me sembra che di fronte al mare tutto appaia più leggero, ogni problema arriva con le onde, che poi se lo riportano via. E a un bambino che ha girato il mondo chiede perché Cagliari gli piace tanto. “Perché c’è il mare dentro”, rispose deciso, “è la città più bella di tutte”. “Non mi dire adesso che è più bella di Parigi, o di New York”. “È la più bella e io fra un anno non me ne vado. Resto qui”.
Ma non è solo per il mare che Cagliari è leggera. Anche per le salite, le discese, gli improvvisi scoppi di panorama e di luce, e soprattutto il vento. Nella Contessa di ricotta, ambientata nell’antico quartiere di Castello, leggiamo: Era una giornata luminosissima. Il cielo e il mare azzurro maestrale in fondo alle vie. Il sole giallo oro oltre i tetti, i rintocchi delle campane. La contessa ripensa ogni notte al rumore della Vespa del vicino che si allontana, al vento che spazza via la polvere dai vicoli di Castello e rende nitidi i contorni di tutte le cose.
E un omaggio a Cagliari viene anche da un critico letterario, Antonio D’Orrico che scrive sul Corriere della Sera: Volendo fare una critica di impostazione urbanistica, il posto più bello della letteratura italiana oggi è il quartiere della Marina a Cagliari, con il suoodore buonissimo di salsedine, di catrame, di sapone, di sugo e di fritto e sembra sempre che qualcuno ti stia per invitare a salire su una nave a mangiare dei calamari. Alla Marina vive Milena Agus con gli eroi dei suoi libri.
Penso che la genialità di Sergio Atzeni sia stata avere per la prima volta scoperto la leggerezza di Cagliari e averla saputa scrivere.
Nel Quinto passo è l’addio, d’estate c’è musica dappertuttoe fanciulle poco vestite vagano… Musica dappertutto, finestre aperte sui giardini del porto e le finestre aperte mandano in diretta la risacca… scuri aperti, luce che entra a fiotti…
E non è straordinaria, in Bellas Mariposas, la scena delle due ragazzine alla spiaggia del Poetto? Arrivano da uno dei quartieri più degradati della città, dalla pesantezza. Abbiamo poggiato gli asciugamani vicino all’ombrellone di una signora simpatica che stava allattando e ci siamo tuffate, quando nuoto dimentico casa quartiere futuro mio babbo il mondo. E mi dimentico. Dovevo nascere pesce. Mi piace guizzare sotto il pelo dell’acqua e uscire ogni tanto a respirare e guardare il sole che scintilla sulle ondine di maestrale o abbaglia sulle onde di levante che ti succhiano in basso… e quando il mare è come ieri piatto mi piace ascoltare nell’acqua il rumore del mio respiro che esce ed entra ogni tre bracciate.
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