Dopo il successo del romanzo Testematte, Salvatore Sasà Striano è tornato in libreria con il libro memoriale La tempesta di Sasà.
Il tanto atteso appuntamento con l’attore napoletano si è svolto domenica pomeriggio in sala Pacinotti. L’incontro, presentato da Lucia Della Porta e organizzato in collaborazione con il Festival Trame di Lamezia Terme, ha commosso il pubblico del Pisa Book Festival, un’esperienza che ha letteralmente travolto tutti nella stessa tempesta shakespeariana di Sasà.
Nel libro racconta la giungla, anzi le giungle che ha conosciuto, prima per le strade di Napoli, poi in Spagna, nel carcere di Madrid, e poi di nuovo in Italia, nel carcere romano di Rebibbia. «Avevo dei mandati di cattura delle autorità giudiziarie italiane, ero scappato in Spagna perché non volevo farmi prendere. Poi però, grazie a un amico, mi hanno arrestato. E non sono ironico: dico grazie davvero, perché mi ha salvato. Fino a quel giorno non avevo fatto nulla di buono, ma se la detenzione ha portato questi risultati, io lo ringrazio».
In Spagna la detenzione sembrava solo apparentemente meno dura di quella italiana. Le guardie non si vedevano, circolavano tra i detenuti telefoni cellulari per chiamare a casa, e si poteva fare l’amore una volta al mese con la propria compagna. «Non come in Italia, dove anche se hai giurato davanti a Dio che resterete uniti nella buona e nella cattiva sorte, se sei arrestato comanda la D.I.A., la cugina di Dio».
Ma la giungla, nel carcere di Madrid, consisteva nella convivenza con super criminali di tutto il mondo, e con accoltellamenti all’ordine del giorno. Inoltre, in Spagna ha imparato che «siamo il paese più intellettualmente onesto, perché parliamo sempre di mafie nei libri e nei film, sperando di estirpare questi mali; mentre delle altre mafie non ne fanno una malattia, o non ne parlano, ma esiste anche quella inglese, quella francese, e io le ho conosciute lì».
Dopo un anno e mezzo, dopo aver perso tutti i procedimenti di estradizione, Striano è stato portato in Italia. «La galera italiana è un supermercato del crimine, con mafiosi e camorristi, un’altra giungla, e avevo paura di tornarci. All’epoca non potevo sapere, ma con il senno di poi è stata una fortuna».
La tempesta di Sasà è un libro scritto per spiegare «come affrontare il mostro della galera per non diventare dei criminali veri». Perché, soprattutto nelle celle multiple, entri per un reato ed esci che ne sai fare cento, dal momento che gli altri detenuti ti raccontano i loro. «Ero un ragazzo spento e mi sono acceso grazie alla letteratura. E spero che domani un ragazzo in carcere possa conoscere leggere ed essere salvato dal mio libro». Non essendo possibile evadere da Rebibbia, il teatro in carcere è stato per Striano, così come per altri detenuti, un modo per evadere almeno dalla cella. «Da quando sono entrato in biblioteca e sono salito sul palco ho cominciato a essere davvero felice, anche in carcere: perché sapevo che una volta uscito non ci sarei mai più entrato». Anche se poi in carcere Salvatore Striano c’è tornato, ma per girare dei film.
… in quel momento ho capito che non avevo una vita segnata, ma era solo uno scarabocchio che potevo ridisegnare…
E poi la svolta decisiva, quando il figlio di Eduardo De Filippo, Luca, ha raccontato a Striano come suo padre, per diventare il grande Eduardo, abbia letto Shakespeare, e tradotto la sua Tempesta in napoletano del Seicento. Quindi la proposta: mettere in scena il copione originale, mai rappresentato fino a quel momento, interpretandolo in anteprima mondiale. «Abbiamo preso questi copioni e abbiamo conosciuto Shakespeare. Racconta un’umanità per ogni personaggio, ha creato degli stati: lo stato amletico dei ragazzi cui uccidono il padre (ora uccideranno anche me oppure no?), lo stato macbethiano di chi vuole arrivare al potere senza scrupoli, per non parlare dei tanti Romeo e Giulietta che tornano a casa e dicono alla mamma di essersi innamorati».
Inoltre, continua Striano, «Shakespeare ci ha insegnato che è più bella l’umiliazione che l’eliminazione del tuo avversario. E io sogno un mondo con meno violenza: fate anche gli imbroglioni, ma non fate del male a nessuno».
Dalla Tempesta di Shakespeare Striano ha imparato molto da ciascun personaggio. In particolare «Prospero mi ha insegnato che è meraviglioso tirare la carretta, ma devi tirarla bene, anche sul posto di lavoro: se vogliamo fare andare bene questo paese, non dobbiamo più credere alle stupidaggini che ogni giorno vogliono farci credere, ma dobbiamo fare del nostro meglio. Nei film mi dicono sempre che sono tra i migliori. Io do sempre il mio meglio, perché ho già fallito: non posso fallire ancora».
E nella versione napoletana della tragedia shakespeariana ha interpretato il ruolo di Ariel, «che serviva serviva serviva per riacquistare la libertà. E aveva quella leggerezza di cui avevo bisogno per abbassare la testa, per trovare un’altra direzione». Striano ha intrepretato Ariel straordinariamente. Poi sarebbe dovuto uscire dalla prigione dopo tre anni, ma con l’indulto ha riottenuto la libertà tre anni prima. «Secondo me è stato Shakespeare, il mio San Gennaro, che avrà detto: facciamolo un miracolo a questo scugnizzo napoletano».
Un incontro commovente, durante il quale anche Sasà si è commosso più volte, soprattutto ricordando la madre, morta mentre era in carcere, e parlando per tutto il tempo con gli occhi velati dalle lacrime. «In galera un libro può entrare. L’importante è non pensare che quando uno cade non si rialza più. Ci fanno credere che solo loro possono sbagliare, mentre noi uomini normali una volta che abbiamo sbagliato non possiamo più rialzarci. Ma non è così. Per cui, per non credere a questa cosa, meglio correrei in biblioteca e prendere un libro in mano».
Un libro scritto come una confessione. «Perché sono diventato un personaggio pubblico, ma per onestà di uomo volevo dire a tutti che sono un ragazzo che ha avuto tante false partenze».
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